Quando uno scatto fotografico è più significativo di tante parole

La storia di Mustafa, il bimbo senza arti simbolo del dramma siriano che con il padre Munzir è stato protagonista di una foto diventata il simbolo della guerra nel Paese mediorientale, mi ha fatto riflettere a lungo sull’importanza di un’immagine che da sola diventa letteratura. Questo fa capire quanto la sintesi di un momento immortalato a volte anche casualmente, possa essere significativo di ciò che vorresti tradurre al mondo in tante lingue diverse. Sì, proprio così, perché quella foto, quello scatto premiato da Siena Photo Awards di papà Munzir che solleva al cielo il proprio bimbo senza arti, ha qualcosa di profondo che racchiude in un attimo la crudeltà dell’uomo autore di guerre fratricide, il quale si rende sempre responsabile di storie di morti e di tragedie che si ritorcono sempre contro lui stesso. In fondo è proprio la storia del mondo che mette sempre in evidenza la sua poca voglia di sistemare nel rispetto verso gli altri ciò che ingordamente fa aumentare il proprio ego politico e sociale nel desiderio di conquistare il potere e sopraffare gli altri. Ecco, è questo che personalmente mi ha ispirato quella foto. E poi quelle riprese televisive di accoglienza all’aeroporto di Roma con destinazione Siena, in cui la famiglia di Mustafa è stata adottata per una vita migliore. In Siria papà Munzir ha perso una gamba a causa dei bombardamenti, mentre il piccolo Mustafa è nato senza arti perché mamma Zeynep durante la gravidanza ha respirato il gas nervino, la micidiale sostanza chimica volatile emanata nell’aria ad uso bellico. E’ quanto di peggio l’uomo abbia inventato nella sua più profonda crudeltà dell’essere. Pazzie che ci riportano ai libri di scuola in cui la storia e i suoi ricorsi raccontano brutture raccapriccianti contro l’umanità. E se in tanti anni di storia ripercorsi tra le pagine mai ingiallite e mai sorpassate dal tempo per effetto del rinnovarsi periodico di brutture riproposte nell’attualità come quella di Mustafa, mi vien da pensare che non ci sia possibilità di dare alla vita il senso più bello che è dato dal distintivo della sua unicità, dal suo vivere in pace per il bene di tutti. Ma per fortuna esiste l’altra faccia della medaglia che mi fa ricredere e per un po’ anche incoraggiare che nella sofferenza c’è anche il buono, il solidale, la premura, l’aiuto, il darsi la mano e proseguire insieme la strada della vita fatta di speranza e fratellanza. Lo so, sono sentimenti che scaturiscono dai cassetti dell’anima che spesso sono il frutto di ideali che si legano a momenti di pura emozione, ma che non assottigliano il male che nasce con l’uomo. Oggi parliamo dei bombardamenti in Siria,  della storia di papà Munzir e di suo figlio Mustafa che, se non fosse stato per quella foto, forse non avremmo avuto quei sensi di colpa che in questo momento in cui siamo presi dai problemi della pandemia e dalle diatribe tra no vax, no mask  e si vax e mask, ci allontanano dai pensieri sul significato profondo sul valore della vita. Quella vita che sempre più ci appartiene e che non ne sappiamo valutare l’importanza di viverla proteggendo la sua vera accezione. Ma quella foto, quello scatto, papà Munzir che alza al cielo il suo bimbo Mustafa, mi ha insegnato a riflettere di non perdere mai di vista, neanche per un attimo, la differenza sostanziale che esiste tra il bene e il male.

Salvino Cavallaro                      

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